Marco 7,15
«Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».
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Ci sono molti luoghi comuni difficili da debellare che governano la nostra esistenza, ed uno di questi recita: Tale padre, tale figlio.
Se poi analizzassimo alcune deduzioni spicciole derivanti dalla più ampia teoria psicanalitica di Sigmund Freud, potremmo affermare che quello che siamo ora sia frutto dei traumi subiti durante l’infanzia, che provocano un istinto ad operare di conseguenza.
In soldoni, i problemi che sto vivendo, e il mio comportamento in reazione ad essi, sono frutto del vissuto dei miei genitori, a loro volta dipendente dal vissuto dei nonni fino ad arrivare, risalendo l’albero genealogico, ad Adamo ed Eva, sempre seguendo un rapporto causa-effetto del tutto meccanico, e quindi deresponsabilizzante.
Ma la Parola di Dio che affronta il tema della purezza (Mc 7,15), ci propone un ribaltamento della prospettiva secondo il quale ciò che entra, che affrontiamo o subiamo dai nostri genitori, ci determina e ci contamina. Viceversa, è quel che esce dal nostro cuore che conta, ossia la risposta alla situazione vissuta, che purtroppo spesso e volentieri ricade nel giudizio.
Si può affermare senza ombra di dubbio che la nostra vita dipende dal come si reagisce a ciò che ci è accaduto in passato, senza alcun determinismo consequenziale puramente meccanico tra la storia dei nostri genitori e la nostra. E la prova provata la riscontriamo nella vita dei Santi.
Consideriamo san Camillo de Lellis (1550 – 1614), che prima di convertirsi ed entrare nell’Ordine dei Cappuccini dedicandosi ai malati, fu soldato di ventura alla stregua di suo padre, col vizio del gioco, tanto da perdere tutti i suoi averi; ma rendendosi conto del bisogno degli altri, si dona al prossimo rivoluzionando l’attività ospedaliera del tempo.
E il beato Charles de Foucauld (1858 – 1916), protagonista di una giovinezza scapestrata, «senza niente negare e senza niente credere», impegnato solo nella ricerca del proprio piacere. Intraprese la carriera militare, ma fu congedato con disonore «per indisciplina aggravata da cattiva condotta». Eppure ad un certo punto della sua vita decide di «vivere solo per Dio», facendo l’eremita nel deserto in Tunisia: ai cristiani, musulmani, ebrei e idolatri, che passavano per la sua oasi, si presentava come «fratello universale» e offriva a tutti ospitalità.
Ed ancora, san Pietro Armengol (1238 – 1304), l’esempio più eclatante di quanto stiamo sostenendo, che in gioventù non fu proprio un santo, tutt’altro... con la superbia e l’irrequietezza del suo carattere, vissè una vita di vizio e di incontrollata avventura; attirò su di sé l’odio dei concittadini di ogni ceto, perché costretti a subire la sua prepotenza e le sue ingiurie. Arrivò a mettersi a capo di un gruppo di banditi, e dopo aver lasciato casa e famiglia, fuggì sui monti, seminando il terrore nei paesi e il pericolo sulle strade!
In seguito, il re di Spagna incaricò Arnaldo Armengol di debellare il banditismo, e quando venne a trovarsi di fronte alla banda capeggiata dal figlio Pietro, si ebbe l’inattesa svolta: Pietro venne colpito dalla grazia e si pentì della vita che aveva condotto fino ad allora, entrando nell’Ordine della Mercede. La crudeltà si trasformò in fervida carità e i vizi in continua preghiera e dura penitenza, arrivando ad offrirsi come ostaggio per il riscatto di alcuni cristiani tenuti prigionieri dai musulmani.
Quindi non siamo determinati da ciò che ci è accaduto!!!
E se siamo insoddisfatti, e crediamo alla promessa di riempire le reti seguendo le 10 Parole, non possiamo non tener conto della vita dei Santi, coloro che hanno vista realizzata questa promessa, che hanno vissuto la pienezza della gioia, che hanno raggiunto la salvezza (che non è la salute, il potere o la ricchezza).
Perché le nefandezze, le violenze alle quali abbiamo assistito o subìto, entrano in noi ma non ci determinano! Viceversa, il giudizio che esce dal nostro cuore è causa di impurità!
Non vogliamo affrontare i traumi a muso duro, ma vogliamo incontrare Cristo!
Il mondo, tuttavia, la pensa diversamente alle prese col filone di derivazione positivista, che pone le sue basi nella realtà dei fatti concreti, reali e sperimentali, contrapponendosi a ciò che è del tutto astratto.
In sintesi, il positivismo parte dall’assunto che tutto ciò che non è osservabile non esiste.
Un parere discordante rispetto quello espresso dallo scienziato (cristiano) Albert Einstein, che afferma che: “La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero: esso è la sorgente di tutta l'arte e di tutta la scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare è come morto, i suoi occhi sono chiusi”.
Si passa da una visione regolamentata dal principio di causalità, ad un’altra meno razionale e meccanica che apre al trascendente, frutto del principio di finalità; da un destino inevitabile dopo un’infanzia travagliata, “una partenza in salita” indesiderata, ad una vita dove c’è spazio per la Grazia che fa svoltare, che ti orienta verso la missione.
Gesù stesso a 12 anni risponde in maniera inequivocabile e illogica, secondo la nostra piccola visione del mondo, ai suoi genitori che lo cercavano disperatamente a Gerusalemme: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ognuno di noi, in quella situazione, avrebbe accampato mille scuse per evitarsi una punizione, essendo consci della marachella commessa.
Invece Gesù sottolinea la missione, ossia ciò per cui sei venuto al mondo, sei stato chiamato: non esistono solo le cause di un’azione, ma anche il fine per il quale essa si compie.
Osservando il cosmo, dal greco κόσμος che significa "ordine" (concetto opposto a caos), non si può non ravvedere una bellezza di fondo (la parola cosmetico deriva dalla stessa radice); la nostra vita ha una meravigliosa missione che non può essere compresa affrontando l’esistenza a tentoni, casualmente.
Ogni trauma o fatica che quotidianamente affrontiamo potrebbe essere funzionale alla missione (es. solo un orfano può capire interamente la sofferenza che si prova in quello stato e darsi da fare in futuro per altri orfani), ma è indispensabile accogliere la Grazia, incontrare Cristo ed aprirsi al suo abbraccio, senza restare inchiodati alla croce: in una sola espressione, risorgere!
Aprirsi alla Grazia significa donarsi, perché nella propria piaga personale c’è paradossalmente la chiave per aiutare il prossimo.
Accettare la Grazia significa schierarsi, mettersi alla mercé del giudizio altrui, di coloro che sono ripiegati su sé stessi, nel pessimismo, nell’indignazione, nella rassegnazione, coloro che forse invidieranno la tua testimonianza di vita nella quotidianità, ossia il tuo personale “annuncio del Regno”.
Chiediamo la Grazia, pretendiamola e difendiamola dalla realtà positivista e relativista che vuole rubarcela.